DELLA PRASSI SUL METODO

In ambito d’opinione, sia in materia politica, che imprenditoriale o sportiva, si è soliti presentare un proprio punto di vista, che si presume, talvolta - dati alla mano, ma non solo - il più possibile rappresentativo di un’autentica realtà fattuale.

In seno a ciò, oltre a delle annesse inevitabili risultanze interpretative, per meglio bypassare l’idea, l’opinione o punto di vista di cui sopra, a mio avviso ne andrebbe anche di una prassi sul metodo.

Metodo di impostazione, metodo di linguaggio.

Nello specifico, sul tentativo di “rivelazione” - e come visione del mondo - di strategie cospiranti o di complotto, per quanto queste possano risultare effettive (e come detto, talvolta su una sincronicità di dati alla mano che ne assurgono a verità concreta) non si tratta, ahinoi, di avere a che fare con i diretti artefici di tali strategie cospiranti o complottistiche, ma talvolta con chi nella maggior parte dei casi di tali strategie ne diviene inconsapevolmente vittima o partecipe.

Da parte di certuni intenti a rivelare, il messaggio dunque, se si vuole, nella stragrande maggioranza è diretto a loro, laddove sia anche possibile che quest’ultimi non abbiano ancora raggiunto un grado tale per cui possano liberarsi da determinate illusorie catene, o che per induzione (ideologica, disorganica, di costume) non arrivino mai a conoscere gli aspetti fondamentali di ciò, perché li va bene così, non potrebbero altrimenti, è un loro limite culturale, o il limite che potrebbe nuocere anche alle comunità umane in genere.

E qui appunto ne va di una prassi sul metodo, e in termini quindi di impostazione e di linguaggio: nella maggior parte dei casi, nel presentare un proprio punto di vista, idea o opinione, il fatto di appellare costoro con termini denigratori (e forse perché in fondo non stanno dalla parte di una più esatta personalistica visione o non possano comprendere una “soluzione” o più consona strategia) susciterebbe varie risultanze: da una prima - se non soltanto per un mero piacere di espressione letteraria - di un autocompiacimento dimostrativo per cui gli "altri" non hanno e non possono capire nulla (e a cosa servirebbe, a quel punto, da parte dello scrivente, “sbattersi su una tastiera”, diremmo), fino al fatto che alcuni appellativi portino nell'interlocutore che legge e se ne sente colpito, anziché a un’eventuale auto-analisi (che se non altro meglio giustificherebbe il tutto) a una reazione di tipo inverso, ovvero quella che in termini di virilità e compiacimento di rimostranza di taluni “idioti” - così tanto sbandierata - porti l’interlocutore a pensare perché non si possa, non si debba quindi andare “oltre la tastiera”, un po’ come per quei gruppi di tifoserie che per scontrarsi dovrebbero darsi appuntamento nelle campagne o nelle periferie per non coinvolgere o non essere coinvolti dalle forze dell’ordine.

Generalmente, sui presupposti accennati, il livello sulla prassi del metodo - e come detto, in termini di impostazione e di linguaggio - in fondo non è che questo.