CONSIDERAZIONI SULL'ESTREMA DESTRA

Quandunque si creda non sia più necessario affidarsi alla classe dirigente del proprio paese, e per questioni di presunti “vitalizi” da parte dei suoi rappresentanti, con spesso l’abitudine di identificarne uno per condannarli tutti (un po’ come si tenderebbe a etichettare un presunto “parassita” statale, considerato alla stregua di un capro espiatorio per attaccarne il sistema) si dovrebbe se non altro tener conto delle conseguenze che invece una propria mancata partecipazione al voto comporterebbe: al di là da un ambito religioso, trattandosi al più di difesa su questioni di sicurezza (microcriminalità) e su falsi e strumentali ambienti arcobaleno (quelli del genitore 1 e genitore 2 per intenderci) un non pervenire a un’azione in tal senso, seppur sottoforma di apparato e non di preferenza personalistica, equivarrebbe al più grande, incoerente, strategico e paradossale abbaglio, equivarrebbe allo spontaneo tentativo di tradire ciò per cui si crede, in nome di una presunta “estrema destra” extra-parlamentare o ideale che dir si voglia (per quanto ci si dovrebbe anche intendere sul come non alimentare forme spicciole di pregiudizio che non portino a simili eccessi di cui sopra).

Come già accennato in Cavalli vincenti, del tanto famigerato termine “estrema destra” né prima né durante le due guerre mondiali nessuno aveva mai sentito parlare, spuntò, e per via di certa stampa, a seguito dell’occulto reclutamento statunitense nei confronti di appartenenti alla galassia ex-fascista o neo-fascista, nell’eventualità di un’invasione dell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica.

In Italia soprattutto, tali appartenenti avrebbero quindi dovuto agire per via separata, “esterna” da quelli che erano gli ordinamenti legislativi e le forze ufficiali allora in atto, tutto ciò finché non si comprese che il pericolo maggiore sarebbe potuto giungere da più interne strategie inerenti l’arco costituzionale (e non più tanto legate al discorso sovietico-comunista) di una nazione, l’Italia, comunque uscita sconfitta dal conflitto bellico, la cui sovranità sostanzialmente era limitata a potenze straniere che non gradivano affatto una sua troppa, per quanto minima, indipendenza strategico-politica.

Proprio per questi motivi, da parte degli Stati Uniti, accertate meglio alcune garanzie dall’interno di quell’arco costituzionale (DC) fu fatta, a un certo punto, tabula rasa delle suddette schiere extra-parlamentari, salvo per alcuni elementi, ancora funzionali, all’occorrenza, per un intervento “estremo” (come si potrà facilmente intuire in Cavalli vincenti, da parte di quelle schiere atlantiche si è soliti ancora oggi alternare o iniziative opposte fra loro, come tra difesa della famiglia Vs divorzio/aborto/femminismo, o opposti estremismi, come tra ex fascisti o neo-fascisti Vs BR o sigle adiacenti).

Da allora “estrema destra” è sinonimo di presunta teoria politica extra-parlamentare, “esterna”, “estrema” alle cosiddette decisioni di palazzo, per quanto di teoria politica ce ne sia ben poca, così come di operatività in senso strategico o decisionale.

L’estrema destra non contiene in sé neanche una funzione meta-politica, di opinioni inerenti un proprio filtrante punto di vista, spesso è solo frutto di “moda” indotta dello star contro e fuori, di pragmatica operatività portata agli eccessi in favore di mere oltranziste gestioni del potere.

E questo incoerente paradosso, quasi ingenuamente, si spiega, si riflette appunto, in quelle frange estreme fin qui citate, prive di una visione strategica decisionale (che portasse almeno a risolvere in termini realistici i problemi per cui ci si lamenta, quando il tutto è invece ridotto non tanto a una forma intuitivo-conoscitiva di complottismo, quanto a una sua versione vittimistica priva di sbocco) capaci di favorire, fin dal non-voto, gli interessi, le iniziative o gli ideali dei loro avversari o nemici.

Nonostante una costituzione antifascista, a causa della sua condizione di “nazione sconfitta”, a confronto di altre vicine potenze quali Gran Bretagna, Francia e Germania, l’Italia subisce ancora un notevole ritardo, strumentale forse a garantire gli equilibri strutturali di quelle stesse potenze: non può ancora permettersi di formare delle autorevoli élites del lavoro e del potere, che siano in grado di integrare al meglio nei propri ambiti le eccellenze fuoriuscenti dalle università o da scuole qualificanti di alto spessore, per poi a sua volta lasciare spazi più liberi a quegli immigrati che vogliano applicarsi in mansioni relative ai servizi più svariati.

A grandi linee, l’Italia ancora è carente a questo tipo di orientazione, nel senso anche di un virtuosismo famigliare, se questa orientazione c’è, è poco diffusa ed è ancora vittima di aspetti ideologici imposti secolarmente da circuiti apolidi extra-territoriali (o anche, per conseguenza, da fuoriuscite e più interne mentalità da raccomandazione) ché nonostante ciò, ancora non si può dar torto a chi afferma e impone l’imperativo “prima gli italiani” e cerca comunque di ordinare al meglio questo tipo di circostanze, evitando esuberi che possano tradursi in microcriminalità e simili sistematiche conseguenze.